Necessarie Modifiche ed un ulteriore slittamento del Nuovo Codice della Crisi

Articolo del Dott. Ezio Busato - ODCEC Padova
per il Commercialista Veneto

Sempre più forte emerge la necessità sia di una rivisitazione strutturale di alcune delle norme contenute nel nuovo “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza” sia di un ulteriore slittamento della sua entrata in vigore a causa degli effetti disastrosi causati dalla pandemia da COVID-19 all’economia e alle imprese.

Il Codice della Crisi d'Impresa e dell'Insolvenza ai tempi della pandemia

Prima di entrare nel merito delle problematiche indicate nel titolo di questo intervento, sarebbe opportuno chiederci quale utilità possa ancora avere oggi e nell’immediato futuro il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (e, in particolare, la c.d. procedura di allerta, concepita in condizioni di normalità economico-finanziaria) dopo i danni causati dalla pandemia COVID-19 e se sia utile ed opportuno un ulteriore slittamento della sua entrata in vigore, attualmente fissata per il 1 settembre 2021.

La risposta a queste domande non la dà certo, perdendone l’occasione, il recente Decreto legislativo correttivo al Codice della crisi.

Infatti, lo “Schema di decreto legislativo correttivo del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza”, Atti del Governo n. 175, Dipartimento Giustizia, con data 9 giugno 2020, recante disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n.14 (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza), in corso di approvazione, non pone modifiche sostanziali in materia di strumenti di allerta, né in materia di organismo di composizione della crisi, né in materia di segnalazione degli organi di controllo societari e dei creditori pubblici qualificati (art.3), né in materia di composizione assistita della crisi (art.4). Trattasi di modifiche marginali, di riformulazioni lessicali, di refusi e di sistemazioni di importanza minore.

Lo schema reca, tuttavia, diverse disposizioni innovative in quanto, tra le altre:

  • specifica la nozione di crisi,
  • ridefinisce la disciplina degli indicatori di crisi, la nozione di gruppo di imprese e le misure protettive del patrimonio del debitore;
  • rimodula, con riguardo all’obbligo di segnalazione di creditori pubblici qualificati, il criterio connesso all’ammontare totale del debito scaduto e non versato e le norme relative alla individuazione del componente degli “organismi di composizione della crisi d’impresa (OCRI)” riconducibile al debitore in crisi.

Le modifiche proposte alle tematiche riguardanti i due articoli del correttivo sopra citati non rappresenterebbero dunque una risposta adeguata non solo alla nuova e grave situazione che si è venuta a creare e che si creerà nell’immediato futuro in gran parte delle imprese italiane in seguito ai danni causati dalla pandemia da COVID-19, ma nemmeno sono venute incontro alle riserve e ad alcune criticità sostanziali emerse sin da subito dal nuovo testo del Codice della crisi, oggetto di numerosi commenti, interventi, dibattiti e confronti avvenuti tra  professionisti, magistrati, docenti,  esperti in materia e addetti ai lavori. Tanto che, nella parte dello schema del decreto riguardante “I Principali contenuti dello schema”, viene riportato il parere (critico) della Sezione Consuntiva per gli Atti Normativi del Consiglio di Stato (parere n. 811 del 24 aprile 2020), con il quale  viene sottolineato che la gran parte delle modifiche apportate dal correttivo “non rispondono a un disegno nuovo o diverso rispetto alla disciplina posta dal Codice, limitandosi, a seconda dei casi, a rimuovere meri refusi, ad apportare riformulazioni puramente lessicali o formali e, in taluni casi, a cercare di risolvere alcuni dubbi interpretativi”. 

Si tratta di modiche e riformulazioni non sostanziali, nonostante le imprese stiano vivendo e vivranno ancora per lungo tempo una delle situazioni più tragiche della loro vita ed abbiano un urgente bisogno di avere una risposta concreta ed attuale per una gestione della crisi d’impresa più semplice, meno burocratica e meno confusa di quella prevista dal nuovo Codice della crisi.

Questo momento avrebbe dovuto rappresentare un’occasione per mettere mano, dopo una decantazione di parecchi mesi e dopo aver preso atto del disastro economico da COVID-19, ad una seria rivisitazione di alcuni e fondamentali articoli del Codice della crisi d’impresa (soprattutto  con riguardo alla  procedura c.d. dell’allerta) che stanno evidenziando una certa criticità e seri dubbi sulla loro effettiva utilità e concreta applicazione: il tutto in un’ottica non ostile e collaborativa con l’imprenditore, principio comune che aveva guidato la realizzazione del nuovo Codice della crisi.

In  realtà, se pur presenti nel nuovo Codice della crisi gli strumenti finalizzati a favorire l’emersione anticipata di uno stato di crisi, prima che si arrivi ad una crisi “irreversibile” e a promuovere soluzioni di salvataggio a garanzia della continuità aziendale e della conservazione dei valori d’impresa, gli obiettivi del nuovo Codice  rimangono solo nelle buone intenzioni del legislatore, in quanto trattasi di disposizioni farraginose,  macchinose, rese complicate da nuovi adempimenti, da nuovi organismi di dubbia utilità, da termini impossibili ed inconciliabili con le esigenze dell’imprenditore, da scadenze e da tempi strettissimi imposti all’amministratore di difficile se non di incerta realizzazione (tanto più se applicate nel nuovo contesto economico e finanziario in cui si sono venute a trovare migliaia di imprese, colte da un improvviso e non voluto stato di debolezza e di crisi per l’arresto delle attività imprenditoriali imposte dai Dpcm governativi).

La prima conseguenza sarà che un gran numero di imprese, di qualsiasi dimensione, uscirà nel 2020 con bilanci in grave perdita, altre chiuderanno o verranno poste in liquidazione, altre si affideranno alle procedure concorsuali. Gran parte di esse non si è ancora ripresa e non ha ancora trovato strumenti adeguati di ricapitalizzazione o di copertura delle perdite subite e tuttora in corso, in presenza di un calo consistente della domanda interna ed internazionale e di una ridotta riapertura dei mercati. Tutti i nodi verranno al pettine dal 2021 in avanti.

Va sempre ricordato che le gravi condizioni di crisi nelle quali sono incorse le imprese non sono state causate, nella maggior parte dei casi, da cattiva gestione degli imprenditori, ma dall’interruzione improvvisa delle attività per effetto del COVID-19, con danni incalcolabili sui quali il legislatore dovrebbe intervenire con reali ed effettive misure di auto.

Le “criticità” del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza non prese in esame dal “Correttivo”

Viene così in evidenza che il “Correttivo” al Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, se da una parte voleva avere maggiori certezze di conseguire pienamente gli obiettivi della riforma sopra ricordati, dall’altra doveva dare un segnale concreto alle imprese (ma anche agli operatori) di ausilio alla ricerca di soluzioni realizzabili e semplificate per superare le criticità del momento e dell’immediato futuro, migliorando alcuni degli articoli, soprattutto quelli relativi alla procedura c.d. di allerta.

La crisi d’impesa non è un fenomeno da studiare a tavolino o da affrontare con strumenti legislativi teorici, a volte non attuabili, ed è per questo motivo che le procedure concorsuali si sono dimostrate inadeguate al risanamento d’impresa. Poche sono le aziende ricorse alle procedure concorsuali che si sono risanate o ristrutturate.

In particolare, il legislatore del “Correttivo” sarebbe dovuto intervenire:

–  sull’allungamento dei tempi, oggi ristrettissimi, così come sono stati previsti dal sistema dell’allerta in relazione all’obbligo di segnalazione di fondati indizi di crisi (art.14), imposto all’imprenditore dagli organi di controllo societari alla ricerca di iniziative da prendere (30 gg.) e quelli successivi (60 gg.) per l’adozione di misure necessarie per superare lo stato di crisi. È impensabile che in tempi così limitati l’impresa possa trovare soluzioni alla propria crisi, subendone le conseguenze in caso di omessa o di inadeguata risposta, che vanno:

  • dalla segnalazione all’OCRI (Organismo di composizione assistita) da parte degli organi di controllo societari, con il rischio di una eventuale fuga di notizie sull’impresa che verrebbe messa in difficoltà, in violazione, tra l’altro, della “riservatezza” e della “confidenzialità”, principali caratteristiche di svolgimento della procedura di assistenza;
  • alla segnalazione della notizia di insolvenza al Pubblico Ministero, ai sensi dell’art.22 del nuovo Codice della crisi;

– sull’allungamento del termine di sei mesi imposto all’Organismo di composizione della crisi (OCRI) per la ricerca di una soluzione concordata della crisi d’impresa (art.19), da ritenersi nella norma assolutamente insufficiente per un piano organico di risanamento aziendale;

–  per una limitazione della responsabilità  in capo agli organi di controllo societario (Collegio sindacale), in relazione all’obbligo di segnalazione all’amministratore  e di successiva denuncia all’OCRI dello stato di crisi, che potrebbe creare un eccessivo o distorto uso dello stesso, qualora venisse attivato strumentalmente al solo fine di evitare ulteriori responsabilità del collegio sindacale in solido con l’amministratore, ai sensi del 2° c. dell’art. 2407 del c.c.,  dalla data della messa in mora dell’imprenditore;

–   sulla necessità di garantire qualifiche professionali adeguate e specialistiche in materia di risanamenti aziendali, che dovranno possedere gli esperti che andranno a comporre l’Organismo di composizione assistita (OCRI) per la ricerca di soluzioni alla crisi d’impresa (i profili riferiti alle previste professionalità di curatore, di commissario giudiziale o liquidatore potrebbero non garantire  la specializzazione che la materia della crisi e dei risanamenti aziendali richiede, per le funzioni essenzialmente liquidatorie che svolgono);

– per colmare la lacuna di assenza di una tariffa professionale per l’organo di controllo societario (Collegio sindacale), chiamato a svolgere una funzione pubblica di segnalazione all’imprenditore e all’OCRI di quei famosi “fondati indizi di crisi” richiamati dalle nuove norme, remunerato, in assenza di tariffa, a libera contrattazione con la parte. Si ricordi solo che il Collegio sindacale è il vero protagonista della procedura di allerta e della composizione assistita ed è titolare di una rilevante e non sostituibile funzione di interesse pubblico. Per questo contesto di servizio pubblico andrebbe retribuito per legge (vedi anche articolo “Riflessioni sulla necessità di una nuova tariffa per i collegio sindacale” su CV n.254/2020);

– per eliminare o ridurre al minimo necessario, anche se ultimamente variati, i vincoli (non giustificati) per l’iscrizione al nuovo Albo dei curatori, dei commissari giudiziali e liquidatori;

Queste sarebbero solo alcune delle criticità rilevate nel nuovo Codice della crisi e dell’insolvenza (vedi anche articolo “Fallimento addio…” su CV nr.248/2019), sulle quali il legislatore non sembra essersene occupato nel succitato decreto “Correttivo”, ponendosi in un contesto ben diverso dalla realtà economica delle imprese.

A causa dell’effetto COVID-19, infatti, l’attuale impostazione del Codice della crisi, concepito in ben altre condizioni economiche, va letteralmente a cozzare (e lo farà ancora per alcuni anni) sulla fragilità economico- patrimoniale e finanziaria di moltissime imprese, soprattutto delle PMI, per moltissime delle quali è prevista la chiusura se non il fallimento, a causa dalla grave riduzione di ricavi e dal blocco delle attività imposto dal Governo per alcuni mesi.

Premesso che il nuovo Codice della crisi d’impresa era stato concepito in situazione di normalità di mercato e d’impresa, dopo i danni provocati all’intera economia nazionale ed internazionale dalla pandemia da COVID-19, non certo attribuibili a condotte pregiudizievoli degli imprenditori, la situazione è drasticamente variata e ben diversa sarebbe stata la sua formulazione se fosse stato concepito nell’attuale contesto di crisi economico-pandemica.

Se la procedura c.d. di allerta rappresenta l’aspetto più innovativo del nuovo Codice della crisi, un cambio di rotta drastico avrebbe dovuto essere previsto per l’impatto COVID-19, per venire incontro a gran parte delle esigenze degli imprenditori, oggi in gravi difficoltà e a rischio della loro sopravvivenza.

Ricordo che lo stesso Renato Rordorf, padre della riforma, aveva dichiarato alla stampa che: “…il successo dell’allerta è legato anche alla costruzione di un clima non ostile all’imprenditore, favorendo la ricerca di soluzioni negoziali “, allaspecializzazione professionale e alla rimozione di alcune criticità già intraviste”.

E’ del tutto evidente il messaggio del Presidente Rordorf al legislatore, lanciato proprio dal padre di una riforma epocale della vecchia legge fallimentare, del quale il “Correttivo” sopra richiamato al Codice della crisi non sembra proprio averne tenuto conto.

Serve un ulteriore differimento del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza

Altra questione riguarda l’insufficienza del differimento al 1° settembre 2021 dell’entrata in vigore del Codice della crisi (introdotto dall’art. 5 del decreto liquidità Dl23/2020 , convertito con legge 5 giugno 2020 n.40), se si pensa all’obbligo di segnalazione, come già detto, di quei “fondati indizi di  crisi” su realtà economiche colpite dagli effetti COVID-19, posto a carico degli organi di controllo societari (sulla base di “indici di allerta” che potrebbero perdere la loro significatività) e dei creditori pubblici qualificati, come prevedono gli articoli 14 e 15 del Codice della crisi.

Basti considerare che le segnalazioni all’amministratore e, successivamente, in caso di mancata risposta, all’OCRI, avranno per oggetto i bilanci del 2020 di moltissime aziende sostanzialmente in crisi, esercizio che si rivelerà uno dei più critici dal dopoguerra ad oggi.

Il prolungamento di un anno dell’entrata in vigore del nuovo Codice della crisi non risolverà il problema, semmai lo sposterà solo in avanti. Anzi, stante l’aggravamento delle condizioni economiche e finanziarie dell’impresa, saranno ancora maggiori le difficoltà di realizzare gli scopi e gli obiettivi che si è posta la riforma della legge fallimentare.

L’istituto c.d. dell’allerta, ideato con lo scopo di far emergere in anticipo le crisi aziendali, aveva senso in condizioni di normalità aziendale e di stabilità di mercato, ma non certo in un contesto in cui la maggior parte delle imprese presenteranno proprio il Bilancio 2020 in grave perdita, con riflessi anche nei conti anche del 2021 e presumibilmente anche del 2022.

Chiediamoci dunque in questo contesto e in quello del prossimo ed immediato futuro: che senso potrà avere la messa in mora di un’impresa in crisi per i danni causati da COVID-19, se verrà effettuata dal 1° settembre 2021 in poi per i motivi su indicati?

Da qui la necessità di un’ulteriore proroga dell’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa e con esso la c.d. procedura di allerta, che potrebbe essere fissata al 1° settembre 2022 se non al 1° settembre 2023.

Tutto ciò fa ritenere che il differimento della sua entrata in vigore rappresenti una necessità prioritaria, che il decreto “Correttivo” non ha preso in esame.

Questo anche per poter permettere, da una parte, che la situazione economica e imprenditoriale si normalizzi, e dall’altra, di consentire agli organi di controllo societari di svolgere correttamente la loro funzione di segnalazione (all’amministratore prima e all’OCRI poi) dell’esistenza di quei “fondati indizi di crisi” da cui inizia il percorso della procedura c.d. di allerta, come prevede lo stesso articolo 14 del nuovo Codice che non ha subito, per questo aspetto, alcuna variazione sostanziale dallo schema di decreto legislativo correttivo sopra accennato.

Va ricordato che la proroga dell’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa non riguarda le nuove variazioni, oggi in vigore, al Codice civile introdotte dallo stesso:

  • all’art. 2086 c.c. relative agli assetti organizzativi, amministrativi e contabili dell’impresa, in funzione della rilevazione tempestiva della crisi;
  • agli assetti organizzativi societari di cui all’art.2257 del c.c.,
  • alle responsabilità degli amministratori di cui agli artt. 2476 e 2486 del c.c. e
  • alla nomina dell’organo societario di cui all’art. 2477 del c.c.

Dette norme non saranno certamente sufficienti ad evitare l’insolvenza delle imprese ora e nel prossimo ed immediato futuro, anche se vengono in aiuto alcune disposizioni temporanee limitate però al 2020 in materia di riduzione del capitale per perdite, per le quali non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli artt. 2484 n.4 e 2545-duodecies del c.c., previste dall’art. 6 del  D.L. Liquidità n.23/2020.

Per contro, vi è da dire che a fine giugno del corrente anno, grazie ad un emendamento di un collega dottore commercialista, l’onorevole Camillo d’Alessandro, la Commissione Bilancio della Camera dei deputati, derogando ai principi contabili, ha dato un taglio netto neutralizzando l’effetto COVID sui bilanci 2019 e 2020, con riferimento alla valutazione delle voci e della prospettiva di continuità aziendale, di cui all’art. 2423 bis c.1 del c.c., che non viene pertanto ritenuta compromessa.

Questo non sposta il problema, pur attenuandone gli effetti.

In relazione alle criticità segnalate e ad una corretta valutazione dei rischi, è evidente che il legislatore, nella stesura del “Correttivo”, non abbia avuto una visione di ampio respiro con la quale avrebbe potuto cogliere l’occasione di prevedere una gestione della crisi d’impresa meno farraginosa e complicata, più realistica e fattibile, purtroppo caratterizzata da obblighi e da termini perentori imposti sia all’imprenditore che agli organi di controllo societario, da regole e da scadenze che non vanno certo d’accordo con le necessità e le difficoltà economiche che hanno gran parte delle imprese in questo periodo che segnerà ancora per qualche anno la storia economica del nostro Paese.

Il legislatore avrebbe dovuto comunque prevedere due differenti procedure per il salvataggio dalla crisi d’impresa: una prima, dedicata alle PMI, più snella, semplice e meno complicata, e una seconda, dedicata alle grandi imprese che hanno ben altre problematiche e necessità rispetto alle prime.

Una suddivisione del genere ridurrebbe i tempi, i costi di procedura e sociali, il lavoro dei Tribunali e di curatori, commissari e consulenti: di tutto questo ne avrebbe beneficio lo stesso imprenditore e il mercato.

È auspicabile che il legislatore tenga conto delle criticità del nuovo Codice della crisi d’impresa e ne ponga rimedio in questo o in altro “Correttivo”, tenendo conto delle reali necessità delle imprese alla ricerca di percorsi di risanamento compatibili, praticabili ed economicamente sostenibili.